
Vincenzo D’Anna*
Per quanto l’argomento non abbia mai scaldato i cuori della gente né acceso particolari passioni, la scuola italiana dà qualche segno di aria nuova. E lo fa perché i titolari dei rispettivi dicasteri (Pubblica istruzione e Università) lavorano alacremente con un basso profilo personale: più attenti al fare che all’apparire. Sia Giuseppe Valditara, giurista approdato al Ministero di via Trastevere, sia Anna Maria Bernini, politico esperto, di scuola liberale, hanno infatti evitato di annunciare “riforme” epocali, stravolgimenti organizzativi e l’adozione di nuove pedagogie dell’accoglienza e della parificazione. Quelle che, a prescindere dai meriti e dai saperi, hanno trasformato la scuola nostrana nel luogo dell’assistenza sociale e non già in quello proprio della didattica e dell’istruzione. Per capirci: il ministro dell’Università ha voluto e saputo eliminare il numero chiuso a Medicina, sottraendo gli aspiranti dottori alle prove selettive, da domande a risposta multipla che, in alcuni casi, definire cervellotiche è dir poco. Lo ha fatto ammettendo tutti, realizzando quella uguaglianza delle opportunità che caratterizza la dottrina politica liberale; affidandosi ai risultati conseguiti dagli studenti nei mesi iniziali del primo anno di corso, ossia evitando l’uguaglianza degli esiti che sopprime il merito, le capacità e la voglia di studiare. Più che predicarlo, il liberalismo lo ha applicato con determinazione e pazienza, preferendolo alla massificazione e all’ideologia di chi vuole eliminare meriti e qualità nella valutazione (e selezione) degli studenti. Lo ha fatto senza colpire i meno abbienti, che continueranno a godere di agevolazioni e sostegno, separando il grano dei meriti dal loglio della demagogia, quella forzatamente tesa all’esito paritario. Lo stesso sforzo sta compiendo il ministro della Pubblica Istruzione, che ha un compito forse più arduo: reintrodurre alcune materie di studio praticamente emarginate come la Storia, la Geografia, il Latino e l’Educazione civica, oltre al voto di condotta. Quest’ultimo fu liquidato con molta leggerezza dai vecchi maestri della pedagogia “emancipata” come uno strumento di repressione esercitato dai docenti sugli scolari diventati, ormai i veri padroni della classe, irriverenti, maleducati e protervi nei confronti degli insegnanti. Spalleggiati, senza se e senza ma, dagli stessi genitori, gente che seppur coinvolta nei consigli di classe come espressione di una democrazia e di una collegialità condivisa, ha sempre badato a raccomandare il proprio congiunto. Non sono rari i casi di minacce e di aggressioni ai prof lasciati in balia di se stessi e presi nella morsa del permissivismo e delle imposture dei papà e delle mamme. Quelli che sembrano timidi elementi di cambiamento, nello stato comatoso in cui è ridotta oggi la scuola, già fanno sentire il proprio peso laddove si era inteso che invece di alzare i banchi si dovessero abbassare le cattedre. Tanto che nessuna regola di corretto comportamento veniva più osservata dai discenti. E se non bastassero gli episodi di cronaca, ci soccorrono le statistiche: la scuola italiana naviga intorno al 130esimo posto nel mondo (nei pressi di quella del Ruanda). Identico discorso vale per le nostre Università, ormai sempre più relegate nelle retrovie delle classifiche di efficienza mondiale. Quel che invece appare florida è la scuola parificata, dispensatrice di diplomi (per le superiori) e di lauree (con le università telematiche). Un’istituzione legittima, sia ben inteso, perché lo Stato non può e non deve avere il monopolio della istruzione dei nostri figli, ma che occorrerebbe controllare rigidamente, con appositi test, allorquando soccorre, a pagamento, gli studenti più scarsi e svogliati. Un sistema che degenerando deprezza il valore dei titoli di coloro che veramente li hanno conquistati studiando. Anche verso le “parificate” è rivolta l’attenzione dei Ministeri competenti per limitare l’abuso ed il mercimonio didattico. Ma più di ogni altra cosa l’aria nuova sta spazzando via le vecchie ideologie dominanti: quelle del lassismo e degli “accoglioni” che per decenni hanno mistificato il ruolo della scuola utilizzando a pretesto ed a piacimento la lezione, emendata ad arte, di pedagoghi come don Lorenzo Milani, sovente citato a sproposito. Costui, infatti, nella scuola di Barbiana non reclamava solo l’uguaglianza del trattamento, il non fare parti uguali tra diseguali (tra ricchi e poveri), ma imponeva, a Barbiana, anche otto ore di studio giornaliero ai propri studenti!! Insomma, era il sapere che doveva emancipare gli studenti, portando avanti quelli che erano nati indietro, non la benevolenza di accontentarli abbassando i livelli di valutazione, quindi ancorché fossero asini. La scuola deve curare maggiormente i malati ( quelli meno abietti) , come un ospedale, diceva Lorenzo Milani : essere gratuita e soccorrevole sul piano delle opportunità, senza dimenticare che un asino, ricco o povero che sia, è destinato a rimanere comunque tale. Concetti rivoluzionari, in quei tempi, per sgominare l’egemonia culturale di un tempo. Alcuni chiameranno retorica e reazionaria questa nuova impostazione, solo perché non si ha più bisogno dei maitre a penser di un tempo, né di scambiare l’uguaglianza con giustizia.
*già parlamentare.