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La meditazione tra psicoterapia e neuroscienze 

Marcello Di Pinto

Da quando il biologo molecolare Jon Kabat Zinn l’ha rilanciata con il termine di Mindfulness la meditazione e gli studi su di essa hanno avuto una serie enorme di applicazioni, studi e ricerche. 

Applicazioni che vanno dal campo della medicina, alla psicologia, allo sport, alle politiche aziendali.  

Le ricerche, inoltre, hanno messo in evidenza una serie di benefici effetti sull’unità mente/corpo, come la diminuzione dell’angoscia, sensazione di maggiore pace interiore, diminuzione dello stress, possibilità di incidere su insonnia e depressione, miglioramenti del tono dell’umore, un incremento della densità della materia grigia dell’ippocampo, l’area del cervello deputata all’apprendimento e alla memoria, una riduzione della densità della materia grigia nell’amigdala, sede delle sensazioni di ansia e di stress. 

Altre ricerche hanno dimostrato, inoltre, che la meditazione ha effetti positivi sul diabete, sull’Halzheimer, nella preparazione a un intervento chirurgico, nello stato di gravidanza e durante il parto; che, favorisce, poi, una diminuizione della dipendenza fisica da farmaci, droghe, alcol e tabacco e favorisce anche processi di guarigione negli ammalati di cancro. 

Bisogna però dire che all’origine lo scopo  della meditazione era, invece, quello di conseguire la Felicità Eterna, l’Immortale e il Divino come affermò il maestro spirituale Lao Tzu. 

E fu per tale motivo che il principe Gotama Siddhartha scappò dalla sua reggia dorata, diventò un mendicante e un ricercatore spirituale utilizzando tutte le tecniche di meditazione che l’Oriente gli mise a disposizione.  

Così il principe che era diventato un monaco/mendicante mise  in gioco tutto quello che aveva per vincere la morte e incontrare il divino 

E si racconta che dopo aver realizzato ciò, cioè dopo aver conseguito la piu alta consapevolezza che è lo stato perennemente estatico di un Buddha, ritornò al palazzo. 

In quell’occasione il padre lo rimproverò come se si trattasse di un giovane sbandato, un yippie e ricordandogli i suoi doveri di principe gli disse: “Cosa pensi di ottenere col tuo atteggiamento?” 

A tale domanda Gotama rispose al padre, al re, che era, invece, lui a non aver ottenuto nulla.  

E quando il pdre gli chiese conto di una tale affermazione lui rispose:” L’ho letto nei tuoi occhi.” 

Bisogna, quindi, allora dire che Gotama Siddhartha tra le tante tecniche che aveva utilizzato ce n’era una che riguardava gli occhi. 

Egli, tramite tale tecnica, comprese che la parte più incorporea degli esseri umani sono gli occhi, che gli occhi sono nello stesso tempo materiali e immateriali e che il viaggio dagli occhi all’anima immortale è il più breve. 

Osservò poi dopo aver praticato questa meditazione che solo guardando negli occhi una persona era possibile conoscere la sua intimità profonda: le sue emozioni, la sua mente, la sua anima.. 

Tale tecnica suggerisce di chiudere gli occhi e fermarli come se fossero due pietre; a questo punto l’energia che va naturalmente verso l’esterno è costretta a muoversi verso l’interno dove dimora l’anima.  

Ciò ci costringe, quindi, a vedere che non siamo il corpo e che quindi possiamo spostarci in esso da un punto all’altro o uscirne fuori. 

Ora quando ci si sposta all’interno di una parte del corpo la parte diventa così viva che è difficile immaginarlo e che ci si sposta ngli occhi, quando si guarda una persona si penetra nei suoi abissi più intimi. 

Si racconta così che quando la morte andò a incontrare il Buddha egli chiuse gli occhi, poi li rese immobili, poi osservò il corpo e la mente.  

Cosi prima che la morte arrivasse egli era già tornato al suo centro, alla fonte originaria e la morte si trovò a stringere tra le mani degli inutili cenci.