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 Il sale della terra – Jeanine Cummins (2020)

Adele De Gennaro

È un libro intenso, profondo, commovente, che sa scavare nell’animo umano e far vibrare le corde della sensibilità, dell’empatia che conduce alla solidarietà. Anche tanto tempo dopo aver terminato la lettura, ti resta appiccicato addosso, sei tramortito dalle sensazioni che hai provato e non puoi fare a meno di metterti nei panni di quella povera gente e chiederti cosa faresti al posto loro.

Sì, perché questo romanzo scritto in maniera fluida e scorrevole, con un linguaggio semplice che si divora letteralmente una pagina dopo l’altra, racconta dell’immigrazione dal Sud America verso gli USA ma in realtà si sposa benissimo alle vicende che accompagnano tutti i migranti sulle rotte migratorie del mondo: i soprusi, le violenze, le privazioni, la dignità negata di essere umano.

La vicenda si svolge completamente in Messico. Prende il via ad Acapulco, rinomata città turistica affacciata sul Pacifico, un tempo meta soprattutto del turismo statunitense, oggi non più. Oggi Acapulco è una città pericolosa, teatro di guerra tra i cartelli dei narcotrafficanti che si combattono per imporre la loro supremazia sul territorio, per cui non c’è giorno che non ci siano sparatorie, omicidi, violenze di ogni genere come in tutto il resto del Messico. Delitti che si consumano sotto gli occhi esterrefatti e impotenti della popolazione locale e quelli compiacenti delle forze dell’ordine, molte delle quali di fatto, sul libro paga dei cartelli.

Lydia è una bibliotecaria, suo marito Sebastian fa il giornalista e sul giornale per cui lavora scrive regolarmente articoli di denuncia contro i cartelli. Insieme hanno un bambino Luca, di otto anni, con una intelligenza brillante e fuori dal comune. Sono una famiglia unita e felice nella loro ordinaria quotidianità. Ma un giorno, da un momento all’altro, tutto viene stravolto per sempre: un commando di uomini armati irrompe alla festa per il quindicesimo compleanno della nipote di Lydia e stermina tutti i suoi cari; 16 membri della sua famiglia, compresa la madre e il marito sul cui corpo viene lasciato un messaggio: “tutta la mia famiglia è morta per colpa mia”.

Nascosti in bagno solo Lydia e Luca, per una straordinaria casualità, si salvano dalla carneficina. Purtroppo Lydia è cosciente del fatto che il mandante di quell’orribile massacro non sarà soddisfatto fin quando anche il loro sangue non sarà versato, così per allontanarsi dalle loro vite distrutte e salvare Luca da morte certa, Lydia e suo figlio intraprendono una fuga estenuante per tutto il Messico, seguendo la rotta del Pacifico, alla volta del “norte”, verso il confine con gli Stati Uniti. Lydia sa che deve evitare le strade più battute e i comuni mezzi di trasporto, rendersi invisibile soprattutto agli occhi degli halcones, gli informatori dei narcotrafficanti che sono ovunque e nascosti dietro le sembianze di chiunque. Così non resta altro da fare che prendere la via dei migranti, singoli individui o famiglie intere che ogni giorno fuggono dai paesi dell’America centrale, devastati dalle bande criminali per inseguire il sogno americano e garantirsi una vita libera e dignitosa. Ciò vuol dire percorrere migliaia di chilometri a piedi, sotto il sole cocente, dormire in rifugi di fortuna o quando è possibile nelle case dei migranti disseminate sulle rotte migratorie sopportare la fame, gli stenti, le violenze, gli stupri, i furti. Cercare di salire sulla Bestia, il treno merci su cui i migranti si arrampicano al volo prima appesi all’esoscheletro come insetti su una zanzariera per poi per sistemarsi sui tetti dei vagoni, rischiando però di finire stritolati, risucchiati dal treno in corsa.

Mentre cercano di salire a bordo, Lydia e Luca incontrano due sorelle: Soledad e Rebeca, scappate dall’Honduras e da una vita di violenza e sopraffazione che sono però riuscite a mantenere integra la loro gentilezza e la loro umanità e i quattro cominciano a viaggiare insieme.

Soledad e Lydia si comprendono, si riconoscono, percepiscono il trauma taciuto che entrambe hanno subìto. “Tra loro si è creato un tacito legame, una magia che è parzialmente materna ma interamente femminile”. Così come Luca e Rebeca stringono un’amicizia fraterna scoprendosi solidali, complici, affini nel percepire il dolore reciproco e incapaci di separarsi.

Conosceranno Beto, un ragazzino di dieci anni simpatico, schietto, generoso, disponibile che come loro cerca di attraversare il confine dopo una vita seppur breve, passata ai margini della società, in una discarica, dove ha visto morire il fratello e scomparire la madre.

Conosceranno altri migranti disposti ad aiutarli o ad approfittarsi di loro ma anche brave persone pronte a spartire acqua e cibo o ad offrire un riparo di fortuna o un improvvisato nascondiglio o un po’ di sicurezza o qualche forma di assistenza ma sperimenteranno anche le violenze della migra, la polizia che insegue i migranti, i soprusi, lo stupro come un qualsiasi prezzo da pagare per andare al nord, il corpo delle donne usato come un bancomat per soddisfare le becere voglie di individui senza morale e senza coscienza.

È la storia di un viaggio lungo: 2500 km per arrivare da Acapulco al confine, nel punto in cui attraversare il deserto guidati dal cojote, cercando di conservare la propria umanità in un’esperienza che di umano ha ben poco.

È un romanzo che fa riflettere molto sulle motivazioni che spingono migliaia di persone ad abbandonare i loro paesi d’origine, la loro casa, la loro cultura, la loro famiglia, la loro lingua e correre un pericolo terribile, rischiare la loro stessa vita, tutto per il sogno di raggiungere un paese lontano, in cerca di migliori condizioni di vita o per sfuggire alla morte e condivido appieno le parole scritte dall’autrice nelle note finali al libro: “Nella peggiore delle ipotesi li percepiamo come una massa di invasori e di criminali che prosciugano le nostre risorse; nella migliore, come una folla di poveri senza volto con la carnagione scura, che chiedono aiuto a gran voce bussando alle nostre porte. Di rado pensiamo a loro come a esseri umani uguali a noi. Persone capaci di prendere decisioni, persone in grado di costruire un futuro luminoso non solo per sé ma anche per noi, come hanno fatto prima di loro tante generazioni di immigrati spesso disprezzati”.

Fanno riflettere anche le cifre sull’immigrazione, di cui l’autrice scrive nelle note: “Nel 2017, lungo il confine tra gli USA e il Messico, moriva un migrante ogni 21 ore. In quel numero non sono compresi i molti migranti che ogni anno scompaiono semplicemente nel nulla. Sempre nel 2017, mente finivo questo romanzo, in tutto il mondo moriva un migrante ogni novanta minuti: nel Mediterraneo, in America Centrale, nel Corno d’Africa. Uno ogni ora e mezza…”

Come si fa a rimanere indifferenti di fronte a questi numeri …

Sul muro che delimita il confine a Tijuana c’è un graffito meraviglioso: “TAMBIÉN DE ESTE LADO HAY SUEÑOS” ovvero “Anche da questa parte esistono i sogni”.

Una lettura che mi ha coinvolto moltissimo e che consiglio fortemente!