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Datterino, ciliegino o semplicemente pomodorino? La giusta interpretazione alla vocazione

agricola, tra sostenibilità e produzioni di eccellenza nell’area interna del Sannio.

Celestino Agostinelli

Un prodotto dal colore vivo. Che varia a seconda della sua esposizione dalla natura del

terreno e dalla pratica utilizzata per produrlo. Stiamo parlando del pomodorino, o meglio “datterino del Fortore”, una qualità di pomodoro dalle peculiarità uniche che rispecchiano il territorio. La sua classica forma di dattero, si presenta a grappolo, dal sapore dolcissimo, buccia sottile e rosso brillante. La sua coltivazione discende da pratiche contadine che tengono viva l’identità culturale legata ad uno specifico territorio. L’area compresa tra Campania, Molise e Puglia, la valle del Fortore, crea una strana alchimia tra antichi mestieri e saperi che oggi si attestano patrimonio indissolubile del luogo. Nelle case contadine di un tempo, l’arte della conservazione alimentare era affidata alla sapienza tramandata nei secoli. Tutto veniva appeso al soffitto. Frutta, ortaggi, aromi e spezie, la definizione di frigorifero del tempo. Un piacere ammirare anche la fattura per tenerli penzolanti dal soffitto, offrendo una chiara idea su chi abita la casa. Una manifestazione di stile di vita sano ed in perfetta sintonia con la natura. Il grappolo che tiene i pomodorini, sono chiamati piennolo o n’zerta.

Baciato dal sole, accarezzato dalla brezza estiva, il pomodorino è capace di tenere testa

alla siccità. Il prodotto a chilometro zero per antonomasia. Pronto e versatile al suo uso.

All’occorrenza, fresco e immediato. Protagonista indiscusso della cucina dell’istante.

Questo territorio, la Valle del Fortore, dall’omonimo fiume che l’attraversa, ha avuto

nel pomodorino, ciliegino o datterino, che dir si voglia, alcune specificità, prime fra tutte la diversa composizione del terreno, per lo più argillosi, la loro esposizione e posizione. Tutte

caratteristiche che andranno ad influire in modo positivo sul prodotto.

Accattivante nella sua intensità cromatica, tra verde e rosso acceso, tonalità a

corredo di un sapore unico, a tratti dolce, allo stesso tempo vivace, che dalle radici si

estende fino alla polpa. Ma come avviene per tante pratiche agricole, anche quella messa in atto nel Fortore, si scontra con il cambiamento climatico e, a farla da padrona, sono le

mutazioni stagionali, che influiscono sulla produzione, anche se il pomodorino del Fortore,

è capace di sfidare la calura. Infatti si coltiva in terreni apparentemente aridi in superfice ma umidi nella prima pare del suo strato. Parliamo di un prodotto coltivato in asciutto. La cui forza è, appunto, tutta nella qualità del terreno in cui affonda le radici, che riesce a trattenere la poca acqua, diventando allo stesso tempo riserva. Trapiantato nel periodo primaverile a ridosso di maggio, non ha bisogno di particolari cure: necessita di tanto sole di una esposizione al caldo, e affronta la scarsezza idrica in modo naturale senza bisogno di acqua, elemento quest’ultimo che in molti casi, con le piogge intense, possono diventare letali. Impasti organici e una pratica agricola tradizionale, solo elementi

essenziali, magari un minimo trattamento quale estirpazione di erbacce infestanti, per il resto ci pensa il microclima e la natura del terreno. Il pomodorino è un prodotto che si presta in modo quasi infinito, nella sua applicazione in mabito culinaria. E sin dalla notte dei tempi il suo impiego ha messo tutti d’accordo, anche perché, per questo prodotto e le sue infinite ricette, vale il detto secondo cui “Dio ha creato il cibo, il diavolo i cuochi”. Ma tra la pasta, un po’ di pane con olio e origano, il pomodorino resta sovrano sul trono della pizza.