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Schizofrenia: si cura

Marcello Di Pinto*

All’inizio del secolo scorso Jung tentò inutilmente di convincere il suo maestro Freud che era possibile curare con la psicoanalisi i pazienti schizofrenici.

Egli riteneva che i deliri e le allucinazioni di queste persone andavano considerati come sogni ad occhi aperti e come tali andavano trattati.

Il terapeuta, quindi, doveva essere in grado di comprendere i significati che erano nascosti dietro tali sintomi e riannodare la storia reale del paziente, costellata da terrore e angoscia profonda.

Ed è questo il concetto di fondo che oggi si sta affermando nel mondo della psicoterapia: lo schizofrenico non come un demente o un alieno che deve essere emarginato o rinchiuso presso un istituzione psichiatrica, ma una persona che deve essere aiutata a vincere la sofferenza che la vita gli ha riservato come sorte.

Si tratta di aiutarlo a vedere che la disperazione, senza limiti, che porta dentro può essere letta come il risultato di relazioni precoci dolorose avute con persone per lui molto significative.

C’è anche da far notare che oggi su questo tema si riscontra un notevole accordo tra gli studiosi più illustri; sia tra quelli che hanno una concezione biologica della malattia mentale, sia tra quelli che propendono per una sua genesi psicologica.

Insieme, infatti, essi sostengono un paradigma bio-psico-sociale; vale a dire che la persona schizofrenica deve essere

curata con i farmaci, l’inserimento nel mondo del lavoro e la psicoterapia.

E oggi nemmeno più si può più pensare che tale devastante malattia sia lontana da tutti noi, dai nostri figli, fratelli, amici, alunni perchè tale difesa ci impedisce incontri creativi e ci rende sordi al significato del senso profondo che la vita può avere per ogni uomo.

In questa ottica non solo il terapista, ma anche l’operatore sociale e il volontario nel dare una mano alla persona schizofrenica possono arricchirsi di nuove esperienze umane, permettendo la crescita del loro orizzonte culturale ed umano.

Giovanni Ariano che ha curato per oltre quaranta anni questi pazienti afferma che il suo lavoro gli ha insegnato che essi hanno solo problemi più gravi degli altri e che negare ciò spinge alcuni terapisti a ritenere che sia impossibile guarirli o li spinge a fare una serie di tentativi ridicoli per convincersi che la relazione non si può costruire.

Ci sono, poi, alcuni psichiatri, che ignorando più di cento anni di studi sulla psicologia del profondo e il contesto culturale in cui viviamo, con un atteggiamento di onnipotenza, hanno la brutta abitudine di dire al paziente schizofrenico che non guarirà mai, dimenticando, inoltre, che la storia della scienza è fatta di tante scoperte una volta ritenute impossibili.

Tale atteggiamento, in aggiunta alla sensazione di non poterne venire fuori, costituisce per il paziente un’esperienza devastante, che lo annichilisce completamente, seppellendolo sotto una sorta di pietra tombale.

E’ il caso di citare qui il lavoro di Luc Ciompi, professore emerito presso l’Università di Berna, che in uno studio di mezzo secolo, condotto attraverso il confronto con studiosi di

tutto il mondo e con l’applicazione del modello bio-psico-sociale, che ne è derivato, ha affermato che la persona schizofrenica può guarire e afferrare il senso della propria vita e della sua esistenza.

*psicologo -psicoterapeuta