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DEPRESSIONE: IL MALE OSCURO DELL’ANIMA

Marcello Di Pinto

Tutti gli esseri umani nella loro vita fanno esperienze di lutto e di separazione da persone significative, che generano sentimenti di angoscia e di tristezza e che sembrano essere un segnale della depressione.

E in realtà molte volte anche i medici fanno l’errore di confondere un momento particolare della vita, che ha bisogno di un periodo di raccoglimento e di elaborazione emotiva con gli aspetti più significativi e perniciosi della malattia depressiva.

C’è un altro caso in cui si invoca, in modo errato, il fantasma della depressione ed è nel caso in cui una persona entra in uno stato di tristezza profonda, perchè sta cercando di capire il senso della sua  vita per darle una direzione.

Tutt’altra cosa è, invece, l’esperienza depressiva vera e propria che mina alle fondamenta le capacità dell’essere umano di avere contatti soddisfacenti con le persone e fa precipitare nella disperazione più cupa, in cui non sembra esserci via d’uscita.

Disperazione che si manifesta soprattutto attraverso una serie di sintomi come la stanchezza, perdita d’energia, apatia, insonnia, perdita di interesse e di piacere per tutte le cose, autosvalutazione, pensieri di morte e di suicidio.

E il rischio di suicidio esiste veramente; uno studio degli psicologi Clark e  Fawcett ha cercato di coglierne i fattori per intervenire tempestivamente.

Ora tra quelli che indicano un rischio a breve termine ci sono attacchi di panico, ansia psichica, grave perdita di piacere e di interesse, agitazione depressiva con rapidi passaggi di umore dall’ansia alla depressione, alla rabbia o viceversa, abuso di alcol, diminuita concentrazione o insonnia totale.

Quelli a lungo termine includono disperazione, idee suicide, intuizioni suicide e una storia di precedenti tentativi di suicidio.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità avverte che nei prossimi anni le sindromi depressove saranno seconde solo alle malattie cardiovascolari; che che nel mondo ci sono 280 milioni di persone che ne soffrono e che vengono colpite 2/3 donne per ogni uomo.

Di fronte a questi dati così allarmanti ci sono una serie di studi che hanno tentato di definire l’approccio terapeutico più efficace e l’associazione tra farmacoterapia e psicoterapia sembra essere quello più indicato nella cura di tale malattia.

I farmaci, infatti, vanno a colpire i sintomi somatici, la mancanza di piacere, il rallentamento dei movimenti, i deliri e le allucinazioni uditive, mentre la psicoterapia può modificare la bassa autostima della persona ammalata, i suoi assurdi sentimenti di colpa, le problematiche interpersonali e i sentimenti cronici di disperazione e di ritiro sociale.

Bisogna, però, anche aggiungere che ci sono in questa malattia vari livelli di gravità, che vanno dallo stato nevrotico a quello borderline e a quello psicotico, che è il più grave.

Ed è a seconda della gravità della malattia e l’impegno   che il paziente profonderà nella cura che determinerà il tempo che occorrerà per guarire.

 

*Psicologo – psicoterapeuta

Già docente di psicologia e neuroscienze dell’Università Giustino Fortunato